Era da poco passata l’1:20 di notte quando la polizia irruppe in un locale di New York, nel cuore del Greenwich Village.
Quel locale si chiamava Stonewall Inn, e nel 1969 era uno dei pochi posti in cui le persone LGBTQ+ potevano ballare, bere e vivere senza nascondersi troppo.
Quella notte, però, non andò come previsto.
Quella notte, il 28 giugno 1969, passò alla storia come “i moti di Stonewall”.
Non una protesta pacata. Una rivolta.
Cinque giorni di scontri, rabbia, solidarietà e resistenza. Cinque giorni che cambiarono per sempre la storia del movimento LGBTQ+.
Giorni che, da allora, hanno dato alla luce quella che oggi è la manifestazione del Pride (Ciao boomer: non si chiama più “Gay Pride” da un po’. L’orgoglio è di tutti, no?)
E quest’anno, quella data, torna a Milano.
Quest’anno, infatti, il Milano Pride si terrà proprio oggi, il 28 giugno, per coincidenza. E a noi piace leggerci un richiamo diretto alle radici.
Perché in Italia, oggi, il contesto non è poi così distante da quello di allora:
le famiglie arcobaleno vengono ostacolate e invisibilizzate (ammesso che esista come verbo);
la cultura queer è considerata un rischio da contenere, una deriva, soprattutto nelle scuole;
le persone trans sono attaccate, ignorate, colpite da provvedimenti discriminatori;
potremmo andare avanti, ma meglio fermarci qui.
Se qualcuno pensa che il Pride sia solo una festa o - peggio - una “carnevalata”, è bene ricordargli che se oggi abbiamo dei diritti, è perché qualcuno si è battuto per conquistarli. Anche “solo” scendendo in piazza, sostenendo valori e cause che magari nemmeno lo/la riguardavano personalmente.
E attenzione a quello che vi diranno ora, perché la narrativa diventerà “Come facciamo a parlare di Pride, ora che siamo (quasi ufficialmente) alle soglie della terza guerra mondiale?”. E la storia, tristemente, potrà ripetersi. Perché i diritti civili non saranno mai una priorità politica, se non diventano una priorità sociale.
E per capire cosa succede quando si smette di farlo, basta guardare a cosa sta accadendo dall’altra parte dell’oceano.
Negli Stati Uniti, colossi come Mastercard, PepsiCo, Nissan, Deloitte hanno deciso di non rinnovare il loro supporto economico ai Pride. A Washington DC (sede del World Pride 2025), a San Francisco, a New York, i fondi privati sono crollati.
Il motivo?
Ufficialmente: “razionalizzazione dei costi”.
In realtà: paura.
Uno studio di Gravity Research conferma che il 39% dei dirigenti aziendali teme ripercussioni politiche o boicottaggi. E come biasimarli? Con l’amministrazione Trump che, fra una deportazione e un intervento random in medioriente, ha riaperto la crociata contro diversity & inclusion, i segnali sono chiari.
E che anche in Italia la tenuta sia fragile, lo sappiamo.
Perciò, se anche voi credete in un mondo LIBERO, venite con noi in piazza, oggi, 28 giugno, perché:
il Pride è un atto di memoria e ringraziamento. E oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ricordare da dove veniamo.
il Pride è una dichiarazione di presenza. In un mondo che ci vorrebbe “meno visibili”, serve mostrarsi di più! E mostrare i nostri amici, i nostri colleghi, forse un domani i nostri figli!
il Pride è un atto di fiducia. Nelle alleanze vere, nella comunità. In chi ci mette la faccia anche quando conviene meno.
Grazie per averci letto anche questo mese,
Alessandro, Francesca, Gabriele
ps. se non ne avete abbastanza, è uscito un nuovo podcast di Internazionale
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GRAZIE CON TUTTO IL CUORE.
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Per tutti quelli in piena ansia da oddio che faccio ad Agosto (vi capiamo). Perché non la Basilicata?
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Oppure un on the road nelle Repubbliche Baltiche! Estonia, Lettonia e Lituania
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Infine, per i veri pro, abbiamo elencato cinque viaggi impossibili che forse non si potranno mai fare. O forse sì? Check it out
📌 La grande macchina dei concerti ha un buco nella gomma
Se ne sta parlando sempre di più. Tra social (soprattutto X, dove orde di fan scatenati pubblicano fieramente le piantine di palazzetti e stadi quasi sold out scontrandosi con gruppi di hater che pubblicano mappe di location mezze vuote a pochi giorni o settimane dalla data). Poi la bolla è esplosa. Come? Proviamo a riassumervelo, nell’eventualità in cui siate stati su Marte nelle ultime due settimane - comprensibile, probabilmente lì fa più fresco.
Quel continuo clash a colpi di mappe e piantine sui social ha attirato l’attenzione di Selvaggia Lucarelli che si è messa a indagare sul fenomeno realizzandone un’inchiesta lunga e molto completa pubblicata nella sua newsletter Vale tutto! su Substack.
In sintesi, l’industria musicale italiana - ma non solo - ha un problema. Anzi, più di uno. Ma tra tutti, quello principale è che origina in anni in cui gli artisti facevano i “veri guadagni” con le vendite dei dischi. Vendite che oggi non si fanno più perché la musica si consuma principalmente in streaming. Quindi, gli autori di una singola canzone proliferano e a fronte di percentuali molto più basse pagate dalle piattaforme agli artisti, si riducono anche i ricavi. Insomma, 100 milioni di ascolti, un disco di platino e un disco d’oro o due valgono meno di un concerto a una sagra di medie dimensioni. E quindi, come si mantiene il business?
La vera grande fonte di guadagno per gli artisti oggi è fare concerti.
E a farla da padrone sono i promoter che anticipano cifre mostruose per l’organizzazione dei tour, costringendo gli artisti in contratti per i quali sono obbligati a restituire l’anticipo per poi trarre anche i loro guadagni. Contratti che tengono vincolati anche vita natural durante.
Al promoter interessa poco di che tipo di tour farai. Ti anticipa la cifra. Vuoi fare gli stadi perché è status? Falli. Li riesci a riempire? Vedi tu (il tuo management, ndr). Tanto la cifra che ho anticipato me la devi comunque ridare. E se il passo è più lungo della gamba? Ecco che arrivano le “svendite” dei biglietti a 5 o 10 euro tramite i canali più disparati, soprattutto convenzioni per dipendenti di mega aziende. Così si salva la faccia (lo stadio apparentemente pieno) ma non sempre il guadagno.
Il tour successivo sarà ridimensionato magari a pochi palazzetti per rientrare del debito e nel frattempo l’artista si esibirà in convention private che garantiscono entrate molto alte a fronte di sforzi minori. E dovrà continuare a produrre, viaggiare, cantare, fare tour. Senza fermarsi mai.
Perché sì, l’immagine conta più della tenuta economica. E finché sembra pieno, tutto funziona. Ma dietro le luci sparate, i sintomi di chi barcolla si iniziano a vedere. Perché come può reggere anche (e soprattutto) psicologicamente un artista di fronte alla consapevolezza di aver contratto un debito monstre per aver fallito un palazzetto o uno stadio? Un artista ha bisogno anche di tempi di pausa. Di sedimentazione. Di vita. Senza quelli non c’è scrittura. Non c’è ricerca. Non c’è riposo. C’è solo una macchina che non si ferma mai.
C’è stato il primo concerto di Elisa a San Siro (il 18/06)! Non siamo molto bravi a recensire concerti (Pandi ci manchi), ma senza dubbio è stato uno dei migliori a cui abbiamo mai assistito, con una grandissima attenzione anche all’aspetto della sostenibilità ambientale. Ma, soprattutto, un sold out vero. Essere lì ci ha anche un po’ ricordato quanto dicevamo qualche newsletter fa: ma non è che raggiungere l’”obiettivo San Siro”, inteso come una delle vette della carriera di un artista, è anche una soddisfazione immensa proprio perché raggiunta dopo decenni di carriera? Eccolo qui, forse, il rischio di bruciare troppo presto artisti, anche ottimi, dandoli in pasto a macchine così grandi.
Se in principio fu il vaso di Pandoro ad essere scoperchiato, stavolta sono il re / la regina sul palco che - loro malgrado e molto probabilmente senza responsabilità alcuna - stanno iniziando a sembrare un po’ più nudi.
Non spegnete quella musica! (semicit.)
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Nel 2026 arriverà una nuova serie Netflix con Zerocalcare. Già dal modo in cui è stato fatto l’annuncio amiamo tutto.
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L’anno scorso Tutta la vita che resta di Roberta Recchia era stato un piccolo caso editoriale di romanzo (molto bello!) cresciuto con il passaparola. In questi giorni è tornata in libreria con un nuovo libro: Io che ti ho voluto così bene. Dobbiamo ancora leggerlo, ma vi faremo sapere - o fateci sapere!
Il 6 agosto uscirà la prima parte della nuova stagione di Mercoledì su Netflix. E il 25 luglio Tim Burton sarà al Giffoni Film Festival in Italia per presentarla!
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Action: Il film Queer di Luca Guadagnino sarà disponibile in esclusiva su MUBI dall’1 agosto!
Literature: Malbianco, Mario Desiati
Trip: L’isola suona, un festival diverso e diffuso a Filicudi a Luglio