Le newsletter sono uno dei modi più diretti che abbiamo trovato per parlare con voi in questi anni e condividere quello che è sempre stato e sempre sarà il nostro obiettivo: leggere il mondo intorno a noi grazie a ciò che chiamiamo “cultura”.
Da qualche tempo abbiamo provato ad aggiungere un appuntamento al nostro calendario editoriale per raccontarvi qualcosa che ci sta a cuore attraverso le lenti colorate di SALT.
L’abbiamo chiamato RiSALTo.
Le precedenti uscite sono state dedicate alle elezioni americane del 2021, alla sofferenza del mondo dello spettacolo durante la pandemia, al viaggio come stato di necessità e ai 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini.
📌 Introduzione
Innanzitutto, è utile provare a spiegare perché sentiamo di dover scrivere questa newsletter. I due terzi di noi che vi stiamo scrivendo non lavorano in ambito giornalistico, eppure - giustamente - tutti abbiamo sentito il bisogno di provare a capire e a mettere in fila le idee e i pensieri che ci ronzavano in testa rispetto a quanto da un mese a questa parte sta accadendo in Israele e Palestina. Perché?
Perché questa volta non basta dire che “è un tema complesso”. Lo è, ma dirlo diventa fonte di ignavia che alla fine parteggia per una parte. E quindi ci sembrava giusto provare ad affrontare questa complessità a modo nostro, come abbiamo sempre fatto, allargando lo sguardo noi per primi e cercando di accompagnarvi in questo viaggio.
Perché la politica e l’opinione pubblica si sono polarizzate in maniera ridicola e qualunquista, in Italia in particolare, con tifoserie da stadio, per lo più parteggiando per una fazione (che spesso è Israele contro Hamas, facendo un po’ un potpourri da generico film action americano buoni-vs-cattivi, in un sillogismo colpevole che assimila Hamas ai Palestinesi e viceversa, col fine unico di disumanizzare i civili coinvolti).
Perché molto giornalismo nostrano si è mostrato spesso imbarazzante (tranne il nostro terzo, sia chiaro) lanciandosi in bandierine, tifoserie e quasi ridicole manifestazioni sotto l’arco di Tito che è stato costruito per festeggiare la guerra giudaica condotta in Galilea. Se non fosse tragico, sarebbe comico.
Perché, appunto, Hamas non rappresenta tutti i Palestinesi; perché Netanyahu non rappresenta tutti gli israeliani (ce le siamo già dimenticate le manifestazioni oceaniche di giovani israeliani contro l’ultima riforma della giustizia?). Perché non possiamo pensare che una apartheid (definizione di Amnesty International) che dura da decenni non abbia come conseguenza inevitabile un’allargarsi delle file dei radicalizzati.
Perché bisogna guardare al contesto. Israele non può credere che ci possa essere sicurezza, tenendo rinchiuse per anni 2,3 milioni di persone con forniture di cibo, acqua ed energia elettrica centellinate. Non può esistere pace, senza un sistema di giustizia sociale. Perché è colpa nostra, degli occidentali, delle Nazioni Unite, incapaci di fare qualcosa quando in passato ogni scaramuccia terminava in un’annessione di nuovi territori palestinesi allo stato di Israele (che dagli accordi del 1948 dovrebbe occupare il 56% della Palestina, just saying). Perché questa guerra è la nostra coscienza sporca. La coscienza di chi per anni ha deciso di ignorare, sperando che questo problema si risolvesse da solo.
Perché non accettiamo il terrorismo, ma non accettiamo neppure che si bombardino ospedali e scuole, che si diano 2 ore per evacuare un ospedale (il nostro terzo che in ospedale ci lavora ride per non piangere), che si attacchino convogli di civili che stanno evacuando, sapendo peraltro che comunque dentro i confini di Gaza devono rimanere. Questi sono crimini di guerra e vanno chiamati con il loro nome.
Perché citando Barenboim (per i liberal di casa nostra pure lui filo-Hamas): “Dobbiamo offrire altre prospettive a coloro che sono attratti dall'estremismo. Dopotutto, la maggior parte delle persone che si dedica a ideologie omicide o estremiste è completamente priva di prospettive, e disperata. L'educazione e l'informazione sono altrettanto essenziali, perché ci sono così tante posizioni basate su un'assoluta disinformazione. [...] Ne sono convinto: gli israeliani avranno sicurezza quando i palestinesi potranno provare speranza, cioè giustizia. Entrambe le parti devono riconoscere i loro nemici come esseri umani. E cercare di entrare in empatia con il loro punto di vista, il loro dolore e la loro sofferenza. Gli israeliani devono anche accettare che l'occupazione della Palestina è con questo incompatibile.”
Perché noi non abbiamo armi, ma come dice Barenboim l’informazione e la cultura sono altrettanto essenziali e quindi il poco (pochissimo, quasi nulla) che possiamo fare lo facciamo. Cercando di informare (e informarci) e usando la cultura come leva per capire la situazione e il mondo.
SALT è da sempre fondamentalmente questo.
Grazie a tutti voi che ci leggete e che vorrete provare a capire con noi,
Alessandro, Francesca e Gabriele
Ps. E grazie a Francesca Mannocchi che ha accettato di aiutarci a capire ancora di più, rispondendo ad alcune delle nostre domande.
📌 I primi passi per orientarsi
Da dove partire?
Proviamo da qui, da questo episodio del podcast Globo, prodotto dal Post e condotto da Eugenio Cau. In questa puntata è ospite Anna Momigliano, autrice, esperta di International Affairs e grande conoscitrice di Israele, che prova a rispondere ad esempio sul perché questo era un buon momento per attaccare Israele secondo Hamas o da cosa fosse dato il falso senso di sicurezza coltivato scientemente da Hamas negli ultimi anni.
📌 Parliamone con i testimoni | Alcune domande alla giornalista Francesca Mannocchi
Per noi, la miglior risposta a tanto giornalismo nostrano che, per convenienza (non per ignoranza), innalza bandiere e giustifica l’ingiustificabile. Quasi sempre dai divani di casa. A noi piaceva l’idea di parlare con chi quelle zone le conosce, le ha conosciute, le vive in prima persona. E le sta raccontando, da lì, proprio in questi giorni.
Abbiamo fatto tre domande a Francesca Mannocchi.
Francesca Mannocchi giornalista, scrittrice e documentarista italiana. Collabora da anni con testate nazionali e internazionali. Si occupa di migrazioni e conflitti e ha realizzato reportage da Iraq, Libia, Libano, Siria, Tunisia, Egitto, Afghanistan, Turchia, Yemen, Ucraina, Somalia. Ha vinto numerosi premi. Nel 2018 ha diretto e sceneggiato insieme al fotografo Alessio Romenzi il documentario Isis, Tomorrow, presentato alla 75a Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Ha pubblicato Io Khaled vendo uomini e sono innocente (Einaudi, 2019), Porti ciascuno la sua colpa (Laterza, 2019), Libia (Mondadori, 2020), con le illustrazioni di Gianluca Costantini. Nel 2021 ha pubblicato il suo secondo romanzo Bianco è il colore del danno (Einaudi). Nel 2022 ha pubblicato Lo sguardo oltre il confine (DeAgostini).
🔵 Sei appena tornata da Israele e dalla zona palestinese della West Bank. Che sensazioni ti sei portata al ritorno? Sarà un conflitto destinato a durare a lungo? Tornerai lì?
Francesca Mannocchi: “Ho portato con me molte emozioni diverse. La prima è la responsabilità di dover storicizzare questo conflitto. Cioè ripercorrere tappe di una questione, quella palestinese, per troppo tempo, colpevolmente ignorata o sottovalutata o messa in ombra dai governi. Storicizzare il conflitto israelopalestinese non significa, naturalmente, minimizzare, sminuire, la strage del 7 ottobre per mano di Hamas, significa viceversa chiedersi come sia stato possibile. Che, credo, era e resti la ragione principale del nostro mestiere, cioè fornire a chi ci legge e chi ci ascolta gli strumenti per porre un evento tragico sull'asse del tempo e cercare di capire quali possono esserne le conseguenze e cosa fare per evitare che si ripeta ancora. Se avessimo ascoltato di più gli umori e i cambiamenti in atto in Israele e nei territori occupati palestinesi, forse avremmo capito prima i rischi di ciò che stava covando. Mi porto questo, dunque, nel bagaglio di ritorno. Che è la ragione che mi farà ripartire presto, per continuare a raccontare cosa accade lì”.
🔵 A Gaza non possono entrare giornalisti internazionali. Che conseguenze ha questo divieto e come cerchi di aggirarlo per fare il tuo lavoro? Come possiamo fare selezione tra realtà e propaganda?
Francesca Mannocchi: “In verità la situazione è parzialmente cambiata nelle ultime settimane. Le forze armate israeliane, IDF, stanno facendo entrare i giornalisti internazionali a piccoli gruppi, con loro. Sono entrati tv e giornali internazionali e tra loro anche troupe italiane. La CNN, tra i primi a entrare, ha immediatamente dichiarato quali fossero le condizioni di accesso: sottoporre il pezzo a IDF prima della messa in onda o della pubblicazione, supervisione del girato. Ecco, io credo che in questi casi sia assolutamente doveroso per noi, se accettiamo quell'accesso, dichiarare quali siano state le condizioni di lavoro sul campo, quali siano stati gli ostacoli, i limiti, o nel peggiore dei casi le censure. Per un mese e più le uniche informazioni che abbiamo avuto, non potendo accedere alla Striscia, sono arrivate a noi da giornalisti palestinesi interni alla Striscia di Gaza che da anni lavorano per i principali network internazionali. A loro dobbiamo le informazioni, le immagini soprattutto, che dovrebbero scuotere le coscienze di tutti. Mi si permetta un pensiero, per chi è ancora dentro con la responsabilità di raccontare una crisi umanitaria senza precedenti e soprattutto un pensiero ai tanti, più di 40, che hanno perso la vita sotto i bombardamenti mentre lavoravano per consentire a tutti noi di avere immagini e testimonianze altrimenti inaccessibili”.
🔵 Che cosa consigli di leggere o guardare per capire di più su questo conflitto?
Francesca Mannocchi: “Sono moltissimi i testi che consiglierei, ne elenco alcuni sapendo di non poter essere esaustiva.
- Mahmoud Darwsih, Trilogia palestinese
- Edward Said, La questione palestinese
- Amos Oz, Resta ancora tanto da dire
- Adania Shibli, Un dettaglio minore
- Colum McCann, Apeirogon
- Ilan Pappé, La pulizia etnica della Palestina
- Edward Said, Orientalismo
- David Grossman, La guerra che non si può vincere. Cronache dal conflitto tra israeliani e palestinesi
- Amos Oz, Contro il fanatismo
E infine consiglio di leggere le versioni inglesi dei quotidiani israeliani, come Haaretz”.
📌 Alcuni podcast per approfondire
Le parole, le voci, le persone. Da qui passa la nostra strada, quella che cerchiamo di percorrere. Lontano dallo schiamazzare di certa politica.
Stories di Cecilia Sala (Chora Media)
Stories è un podcast di successo prodotto da Chora Media di cui vi abbiamo già parlato anche in altre nostre newsletter. Cecilia Sala è giornalista de Il Foglio e ha documentato in prima persona le ultime guerre (Ucraina, Afghanistan e Israele). Con uno sguardo attento e incentrato sui racconti character based, Sala cerca sempre di portare dentro il racconto attraverso le voci di protagonisti laterali e non, per fare immergere l’ascoltatore il più possibile nelle vicende.
Nessun luogo è lontano di Giampaolo Musumeci (Radio 24)
Qui trovate una serie di puntate necessariamente dedicate a ciò che sta accadendo in Israele e Palestina, raccontato con cura e competenza da Musumeci e colleghi, che spesso ospitano e danno voce ad altrettanto autorevoli reporter, esperti, fotografi ecc.:
Globo di Eugenio Cau (Il Post, ancora)
Sì, è ancora una volta il Post e ancora una volta Globo, dunque un ennesimo plauso a Eugenio Cau e, in questo episodio in particolar modo a Lorenzo Trombetta, giornalista esperto di Medio Oriente e autore a Limes:
E, ancora, a Francesca Mannocchi, ospite di questo interessantissimo episodio:
📌 Alcuni articoli che riteniamo necessari
Una delle cose che ci ha più colpito nelle ultime settimane è lo scollamento fra giornalismo, politica e piazza, e le dissonanza cognitiva che questa frattura ha provocato.
Mai ci saremmo aspettati di sentir dare del filoterrorista al Segretario Generale dell’ONU; mai ci saremmo aspettati che un giornalista chiedesse contezza ad Amnesty International dei cartelli esposti ad una manifestazione; o di offendere personalmente, su quotidiani nazionali, una figura come Zerocalcare che, al netto di non aver mai voluto rappresentare niente se non se stesso, è una delle poche figure pubbliche ad aver mostrato sempre un’adesione clamorosa ai principi in cui crede.
È un cortocircuito del sistema; qualcosa che probabilmente studieremo negli anni futuri.
Questa guerra, quest’invasione, ha provocato uno stranissimo effetto sulla discussione pubblica e sui commenti, qualcosa di molto più profondo di quanto già non era successo con la guerra fra Russia e Ucraina. Se non sei con noi, sei filoterrorista; se critichi Netanyauh, sei antisemita. Non esistono grigi ed esiste solo una parte buona. Così affollata, che viene da sedersi quasi senza pensare dall’altra parte, quella del torto.
Nonostante questo, le piazze si sono riempite; la popolazione civile sembra essere molto più in grado di capire quello che sta accadendo della politica. Questo scollamento, temiamo, avrà delle conseguenze e si approfondirà ulteriormente. Cosa porterà? Difficile a dirsi.
A noi sembra corretto ripartire dall’inizio, dalle fonti che abbiamo a disposizione.
Human Rights Watch nel 2021 diceva che Israele stava commettendo Apartheid. E non lo diceva con leggerezza. Qui.
La stessa l’ha ribadita successivamente - e con altri elementi - Amnesty International, quei filo-Hamas (scusate, non possiamo non riderne amaramente).
Una guerra non si può considerare solo nel momento presente; bisogna capire da dove viene e dove va, analizzarne le ragioni e le cause storico politiche. Su Domani.
Uno dei maggiori artefici (come attore ma anche come causa motrice) di questa guerra è Bibi Netanyahu; anche di questo esponente dell’estrema destra israeliana è utile conoscere la storia e la scalata politica. L’ha ricostruita il quotidiano israeliano Haaretz.
E sempre Haaretz, all’indomani dell’attacco atroce di Hamas in territorio israeliano, ha pubblicato un durissimo editoriale che vi consigliamo di leggere. Si intitola: Netanyahu ha la responsabilità di questa guerra Gaza - Israele.
📌 Alcune letture a (ulteriore) corollario
Un’altra cosa che ci ha profondamente colpito di questa vicenda è la tremenda, impossibile, disumanizzazione di alcune persone. Rabbini che dicono, senza timore, che a Gaza non ci sono esseri umani, ma solo animali; politici israeliani di estrema destra che già mesi fa gioivano ai bombardamenti e chiedevano, via Twitter (o X), “uccidetene altri” (poi hanno cancellato il post; still, il web è implacabile), che chiamano operazioni contro i beduini “Crystal Night” (no, non parla di pattinaggio sul ghiaccio).
Fa orrore pensare che il leader di un popolo che meno di 100 anni fa ha dovuto subire la Shoah perseguiti un altro popolo. Molti ebrei per questo si stanno dissociando, in tutto il mondo così come in Israele stesso. Allargando quella frattura che già prima evidenziavamo, fra la popolazione civile e la politica.
Ecco allora qualche ulteriore lettura che ci sentiamo di consigliarvi per arricchire il vostro quadro sulla tragedia cui stiamo assistendo:
The Passenger, Palestina, Iperborea Casa Editrice
Nemmeno a farlo apposta, pubblicato per Iperborea nel settembre 2023, Palestina è uno dei volumi della collana The Passenger, un’atipica guida esplorativa di città e Paesi, che offre approfondimenti e consigli ai viaggiatori (dunque, non ai turisti). I puntini da unire in questo volume sono cronache di vite palestinesi: a Ramallah, a Gaza, a Gerusalemme, a Jenin, a Hebron, in Israele, nella diaspora.
Joe Sacco, Palestina. Una nazione occupata, Feltrinelli
Graphic Novel del 1996 di Joe Sacco, che racconta delle sue esperienze di viaggio in Cisgiordania e nella striscia di Gaza tra dicembre 1991 e gennaio 1992.
Ilan Pappè, La prigione più grande del mondo, Fazi Editore
Noto accademico e scrittore israeliano, Ilan Pappè ha scritto diverse opere dedicate ai suoi territori. Pappè si focalizza sull'annessione e sull'occupazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, soffermandosi sulle politiche e gli eventi che in qualche modo hanno creato le premesse per la drammatica situazione attuale dei territori palestinesi sotto occupazione.
📌 Alcuni speciali che ci hanno colpito
The view from my window in Gaza, New Yorker
Bellissimo longform del new yorker, raccontato direttamente dagli abitanti; nelle piccole cose sta il senso di tutto.Ricomporre il conflitto, Maratona Online a cura di TLON (dura quasi 7 ore!*)
*poi non dite che non vi avevamo avvisati.I bambini di Jenin, di Francesca Mannocchi per Propaganda Live
Francesca Mannocchi - di nuovo, sì - (con la collaborazione anche di un terzo di noi) ha realizzato un viaggio in Cisgiordania, a Jenin, per Propaganda Live. Un racconto che attraverso le voci dei bambini spiega cosa significa vivere in una vera e propria prigione a cielo aperto.
📌 Alcuni articoli di SALT negli anni su questo tema
Hebron, il tour della violenza senza confini
Un mondo parallelo che è atroce realtà: un’esperienza che lascia un segno profondo a più livelli, dai partecipanti, ai protagonisti delle “storie”, passando per i narratori.The Present, la vita quotidiana nelle enclavi palestinesi con Farah Nabulsi
La vita nelle enclavi palestinesi, dove ogni gesto diventa complesso e difficile; una piccola storia che racchiuda una parte dolorosa di realtà, in parte realizzata come guerrilla filming.Wajib
Wajib per la giovane regista palestinese è un termine che non si limita alla sfera religiosa, ma la supera, rappresentando una vera e propria forma di resistenza, seppure passiva, volta alla conservazione degli aspetti migliori della tradizione come simbolo irrinunciabile di identità.
📌 Alcuni profili da seguire per rimanere aggiornati
I social come mezzo di informazione, in un momento storico in cui a Gaza ci sono dei giorni di totale black-out delle comunicazione. Sembra impensabile al giorno d’oggi, in un mondo dove regna l’iperconnessione, che una zona venga completamente isolata. Accade. È un’altra di quelle stranissime fratture che questa guerra sta provocando.
*DISCLAIMER superfluo, ma alle volte utile: consigliarvi questi profili non implica da parte nostra un’approvazione incondizionata di ogni parola, frase, concetto espressi da chi amministra questi stessi account.
Tuttavia, riteniamo prezioso il loro sforzo nel dare informazioni il più possibile complete o, quantomeno, accessibili ai più anche in un contesto così complesso. Alcuni di questi account scrivono da dentro la Striscia, e sono tra le poche fonti interne - certamente non indipendenti - per provare a sapere cosa accade.
C’è propaganda in alcuni di questi account? Anche. Ma l’antidoto alla propaganda possiamo crearcelo solo noi. Studiando e informandoci. E quindi, di nuovo, speriamo di avervi dato quanti più elementi possibili in questa newsletter sapendo che non si potrà mai essere nemmeno lontanamente esaustivi.
Emilio Mola @emiliomola1
Motaz Azaiza @motaz_azaiza
Eye on Palestine @eye.on.palestine
Ali Jadallah @alijadallah66
Cosimo Caridi @cosimocaridi
E, infine, la domanda che più ci tormenta da diverse settimane: ma noi, cosa possiamo fare?
Qui, nel nostro rifugio che tanti anni fa abbiamo chiamato SALT, pensiamo che la cultura sia uno dei possibili rimedi a questa ombra dilagante, il nostro piccolo faro di luce, un lumicino più che un faro, una candela tremolante al vento autunnale. E quindi leggiamo, ascoltiamo, guardiamo.
E condividiamo tutto questo con voi, sperando vi sia di altrettanto conforto.